17 Dicembre 2018
Leggendo alcuni articoli sul web, mi sorprendo a leggere titoli come “Il manifesto che ha messo i genitori con le spalle al muro”, “Come difendersi dai genitori tifosi”, “Le dieci regole per i genitori sportivi” oppure notizie di cronaca che raccontano di genitori che picchiano gli allenatori, allenatori che picchiano i giocatori, giocatori che picchiano gli arbitri. E poi, “opinionisti” che si esprimono, manco fossero autorevoli pedagogisti, su quali comportamenti debbano tenere i genitori, consigliando loro, testualmente, di “togliersi dai co…”.
Ma cosa sta succedendo? E’ possibile che improvvisamente i genitori non sappiano più fare i genitori, gli allenatori non sappiano più allenare, gli arbitri non sappiano più arbitrare?
Personalmente, sono sempre più convinto che simili episodi di cronaca siano sempre accaduti e che spesso siano i social a sottolineare l’aspetto più brutto dello sport… Una brutta notizia fa comunque più notizia di una bella notizia. Però è anche vero che viviamo in una società nevrotica e paradossale, in cui talvolta i cibi industriali sono considerati più sicuri delle torte fatte in casa, i medici persone dalle quali diffidare, il parco un luogo pericoloso e il vicino di casa uno sconosciuto. Emergono sempre più segnali di sfiducia tra le persone; chiunque è attaccabile, chiunque può contestare l’operato altrui dall’alto della sua università della strada o della laurea in facebook.
Dobbiamo davvero arrivare a costruire compartimenti stagni, in cui i genitori devono rimanere fuori dalle società sportive e in cui gli allenatori devono solo allenare? Per me questa è una visione orribile del mondo dello sport, nella quale si perderebbero valori e potenzialità. Un’enorme sconfitta sportiva e sociale.
Chiediamoci cosa sarebbero le società sportive senza l’apporto dei genitori volontari, cosa accadrebbe se gli allenatori si limitassero al loro ruolo tecnico rinunciando a quello umano.
Nell’evoluzione dell’uomo, la capacità di collaborare e quella di adattarsi alle situazioni sono state la garanzia di successo… Dove sono finite tali capacità? In psicologia dello sport, la forza mentale è qualcosa che assomiglia molto più a “flessibilità” che a “rigidità”; in questa flessibilità c’è l’accettare la diversità, tollerare la frustrazione, saper cambiare idea, adattarsi ai contesti, essere consapevoli dei propri limiti e di quelli altrui.
Un atteggiamento di continua diffidenza e critica non è soltanto disfunzionale, ma ci rende anche più sospettosi, nevrotici, infelici; infatti, i momenti più belli della nostra vita li abbiamo vissuti assieme ad altri, collaborando, non giudicando, condividendo delle esperienze. E’ tempo di far rivivere parole desuete come “rispetto”, “collaborazione”, “competenza”, “fiducia”… Parole semplici, ma molto difficili da concretizzare in un una società che fa della feroce competizione, e della colpa, dei comandamenti.
dott. Alberto Fistarollo – psicologo
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